“Si sta insieme per essere i guardiani gli uni degli altri e ricevere i benefici di questo gesto. […] La tribù siede in cerchio per consumare il pasto comune, spalla a spalla, ognuno guardiano dell’altro e tutti sentinelle dello spazio libero dai pericoli. […] Guardiani e sorvegliati, facciamo esperienza del mondo che si curva intorno al nostro cerchio, che comincia ad avvolgerci, che cosi ci viene dato.” Cit: Tuppini, T. (2014). Ebbrezza. Mimesis.
Fine anno. La musica da organetto di ogni fine anno racconta di buoni propositi e di bontà.
L’augurio, personale e selvaggio, è che questa comunità arrampicatoria esca finalmente dallo stato di minorità. Per minorità mi riferisco all’incapacità/pigrizia/viltà che spesso ci impedisce di avere il coraggio di fare buon uso della propria intelligenza.
È comodo rimanere minorenni; incapaci.
Sul perché si finisca in questo stato si potrebbero sollevare tante cause, in primis la religiosa delega verso qualcuno che ha avuto il coraggio di emanciparsi.
In termini più chiari. Esiste un chiodatore, esiste un mondo che viene messo in “essere” dalla sua opera, esiste un arrampicatore che vive e si muove in questo mondo.
Il chiodatore è l’elemento “libero”, l’emancipato, mentre l’arrampicatore si abitua a camminare con il “girello” nel mondo da questo creato.
Ora, nell’eterna dinamica del divenire assoluto, perché tradizioni e fandonie identitarie sono barzellette somministrate ai creduloni, anche le figure descritte precedentemente si evolvono.
Ad un certo punto le divinità (leggi chiodatori) si moltiplicano, gli adepti (leggi arrampicatori) aumentano in misura tale da assumere il ruolo di “pubblico” (non pagante).
Bene: “il pubblico” ha qualche possibilità in più di uscire da questa minorità. Insieme ci si fa coraggio, si trovano le forze e si accede a una ritrovata libertà (di pensiero).
Oddio, per un certo tempo. Perché se non ci si accorge della propaganda e della retorica che ha mantenuto in piedi lo stare delle cose prima della rivoluzione…. ci si mette ancora nello stato di minorità. Si finisce con il ripristinare le situazioni precedenti in nome della storia e del rispetto, dimenticando che tutto nel frattempo è cambiato. Ma nella misura in cui ci consideriamo membri di una comunità, o ancora meglio, come cittadini del mondo, ci possiamo almeno permettere di ragionare pubblicamente senza temere delle conseguenze negative; non stiamo modificando alcuna via, non stiamo toccando nessun tassello!!!
Quindi, siamo seduti spalla a spalla a godere dello stesso fuoco e confidiamo che, cosi come noi guardiamo le spalle di chi ci sta di fronte, qualcuno faccia la stessa cosa con noi.
Eppure, ancora oggi accade che la sosta usurata o il fisso logoro, rimanga lì a trasformare una via di roccia in altro, anche in una roulette russa. Il più delle volte si finge di non aver notato il problema, si incrociano le dita e ci si assolve delegando al chiodatore, (che farebbe bene a scomparire, ma di questo ne parleremo in un prossimo articolo), rintanandoci nella minorità. Il più delle volte basterebbe poco: con un gesto coraggioso e sovversivo… si stringe un bullone o si cambia un moschettone.
Perché una via di roccia non è una via di roccia. È tanto altro, ovvero tutte le possibilità di significato che nel tempo può assumere. Anche quella di una roulette russa, appunto. Di questi tempi ci si aggiunge anche la patetica propaganda economica che senza riguardo alcuno, propina foto e video dove si pone attenzione solo al gesto atletico e non alle condizioni di possibilità dello stesso. Alla scarpa nuova si contrappone il fisso marcio oppure la “slunga” scolorita dal sole, sicché il degrado scompare dietro il velo della normalità.
Tocca quindi a noi, aggiornare il significato di “via di roccia” nel tempo. Per fare questo occorre mettersi in grado di guardare le spalle, non vivere alle spalle, degli altri. Intendo: mettere nello zaino una chiave inglese, mettere nella testa le nozioni base per saper identificare, operare e sanare, per quanto possibile, le situazioni di degrado… Servirebbe anche tanto altro, ma da qualche parte occorre pur iniziare.
Insomma: investire qualcosa di più nel mondo arrampicata che non sia solo allenamento e pantaloni “griffati” .
Perchè, a pensarci bene, scalare è ancora gratis. È una attività che, al limite, ingrassa i produttori di petrolio, gomme e automobili.
Nel nostro ambiente, quello che ci permette di scalare, reinvestiamo ben poco.
Detto questo, propongo un gioco, poi ognuno faccia come vuole. Propongo di investire, in una personalissima “musina”, (salvadanaio), 50 centesimi per ogni giornata passata in falesia. Dopo poche uscite dovreste essere in grado di investire, (non dal ferramenta sotto casa), quei pochi euro in materiale che possa “guardare le spalle” del prossimo climber.
Ecco, se dopo 20 uscite non siete stati in grado di individuare un moschettone, una fettuccia, un maillon da cambiare… tolto il caso in cui siate persone molto fortunate, il mio personale augurio è che vi sediate altrove. Fuori dal cerchio. Perché non state guardando le spalle del vostro prossimo. State facendo altro… ma sempre alle spalle.
Andrea Tosi