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Asja Gollo: la forza di saper esitare.

da | Gen 4, 2019 | news | 0 commenti

Asja Gollo nel 2018:

  • primo posto coppa italia lead a Brugherio
  • primo posto coppa italia lead a Verona
  • primo posto coppa italia lead a Campitello di Fassa
  • primo posto classifica generale coppa italia lead 2018
  • secondo posto campionato italiano lead a Brunico
  • sesto posto coppa italia Boulder ad Agrate
  • terzo posto coppa italia Boulder a Bologna
  • primo posto coppa italia Boulder a Collegno
  • terzo posto coppa italia Boulder a Thiene
  • secondo posto coppa italia Bouldera Teramo
  • terzo posto classifica generale coppa italia Boulder 2018
  • terzo posto classifica di combinata dei campionati italiani (lead+Boulder+speed)
  • membro della squadra nazionale assoluta e del progetto olimpico nell’anno 2018
  • 2 convocazioni in coppa del mondo Boulder
  • 2 convocazioni in coppa del mondo lead
  • convocazione al campionato mondiale assoluto lead ad Innsbruck.

I risultati  in competizione dicono molto ma non dicono tutto di Asja Gollo.

Non ha un profilo su FaceBook, e per cercare di spiare il suo lato privato/pubblico occorre andare su Instagram. Ed ecco storie e foto che saltano da un binario all’altro. Uno, minore, fatto di libri, gatti e vita legata alla città di Torino. L’altro, maggiore, fatto di arrampicata; ma questo lo si sapeva.

È Agosto e la raggiungo telefonicamente mentre sta salendo in Germania per prepararsi agli ultimi appuntamenti della stagione. Al volante del camper: il papà. Asja ha diciannove anni é senza patente e senza fretta di averla. Ha scelto di dare priorità allo studio universitario a discapito del codice stradale.

Mi è sempre difficile fare interviste telefoniche, e a ben guardare non si dovrebbero nemmeno fare. Il rischio di perdere il lato emotivo, che rimane nascosto nel corpo mentre tenta di difendersi dall’invadente curiosità di chi domanda e attende risposte, è troppo alto.

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Parto da lontano: 

Ciao Asja, c’è un motivo per il quale non sei sul social più diffuso al mondo, mentre su Instagram ti esprimi come se non ci fosse alternativa tra l’arrampicata e la riflessione spesso solitaria.

Asja: Mah… probabilmente è un aspetto che non voglio si sappia troppo in giro ed è per questo che pubblico tanta arrampicata. Non voglio sia troppo evidente che sono molto riservata.

Pur essendo atleta di alto livello sai scindere bene tra “scena” e “retroscena” di una attività sportiva che spesso conduce a uno stile di vita dove tutto si fonde inesorabilmente e senza scarti con “l’arrampicare”. 

Asja: Oltre a “scalare”, studio comunicazione interculturale, sono al primo anno. Ho dato qualche esame tra i quali sociologia, antropologia e filosofia. Ho recentemente letto Goffmann, e il suo “vita quotidiana come rappresentazione”.

 (e questo la dice lunga sulla gestione della comunicazione….ndr). 

Asja: L’arrampicata mi permette di viaggiare e di confrontarmi con realtà molto diverse da quelle italiane. E parlo di vita quotidiana, non solo di “arrampicata”. Questo mi permette di crescere come persona ed è un lato che mi piace molto dell’arrampicata. 

Restando in tema “rappresentazione”: quando arrampichi diventi più riflessiva o arrivi a perdere la maschera? il livello che hai nasce da questa esigenza di controllo? cosa ti accade mentre scali?

Asja: Fino al 2017 la mia “scalata” rifletteva molto la mia riflessività, il mio esitare. Ho cercato di cambiare per esigenze tecniche legate soprattutto alle gare di boulder. Questo mi ha aiutato un po a scuotere anche me stessa… anche nella vita…  non lo so, almeno spero che questo mi aiuti.

È per questo che in un tua storia “Insta” citi Francesco Remotti: “La scelta è senza dubbio il fondamento di ciò che intendiamo per identità: si sceglie di essere e di divenire così, e non altrimenti.”

Asja: Si! la vita ognuno se la costruisce tutti i giorni. Sono convinta si possa scegliere tutti i giorni tra i fattori esterni e che ogni momento è adatto per avvicinarsi sempre di più al proprio ideale.

Cosa ha a che fare il tuo ideale con l’allenamento?

Asja: l’ideale è la mia felicità, e finché scalare e allenarmi mi rende felice…lo farò. Altrimenti mi dedicherò alla roccia, o forse smetterò con la competizione. La felicità… credo… dovrebbe essere questa la finalità delle persone.

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Come nasce la passione per l’arrampicata?

Asja: La passione per la scalata nasce in modo molto casuale. Dopo nuoto e pattinaggio su rotelle, mia mamma mi ha fatto provare anche l’arrampicata, magari pensando alla passione di mio padre per la montagna. Da allora ho abbandonato gli altri sport…

Magari è un mio delirio ma ogni volta che guardo le competizioni lead o boulder, noto con piacere quel clima  “umano” che spinge chi è appena stato superato di qualche appiglio, a congratularsi con l’avversario e a discutere con passione del “come si passava”, “com’era la presa seguente”…

Tutto questo mi porta a pensare che questo confronto in competizione sia pulito e gioioso anche forte del fatto che il metro sul quale ci si misura – il boulder o la via preparata dal tracciatore – sparisce subito dopo la gara. Puro godimento del gesto atletico; puro gusto per il movimento verticale. 

In questo mi sembra un mondo parallelo che ha quasi tagliato i legami con la roccia. Privo anche di tutte le invidie/gelosie, legate alla proprietà per “diritti di chiodatura” o “prime salite”, permesse dall’immutabilità della roccia e delle vie tracciate, che spesso in tempi non lontani hanno avvelenato le menti degli arrampicatori di alto livello. Ci pensi mai al fatto che una via sparisca (o non sia più “riprovabile”?

Asja: Il fatto che la via sparisca, a volte, è un sollievo quando sono tracciate male… però si! forse si è perso l’aspetto storico; forse oggi si è molto legati alla plastica. 

Personalmente, se ho la finalità delle gare, scelgo un week-end sulla plastica piuttosto che sulla roccia. Forse si è persa questa sensibilità storica che si rivolge alla vera natura dell’arrampicata e con essa anche tutti i discorsi legati alla roccia , alla chiodatura … Magari questo atteggiamento distaccato  rende anche più freddi di fronte alle vie delle competizioni.

Forse sta diventando uno sport come un altro e magari questi sono valori che non tutti sentono, ma chi entra nel mondo delle gare spesso non conosce la storia dell’arrampicata…

Quindi, non mi fare domande strane che potresti imbarazzarmi.

Io stessa conosco poco della storia dell’arrampicata e non lo sento nemmeno come necessario conoscerla .

Spesso si va in falesia solo per allenamento lontani da ogni sensibilità storica.

Lo si vede anche da come si mettono in memoria le esperienze. Ai miei tempi il nome di una via si portava appresso oltre al grado, il chiodatore, il  primo salitore, la sua storia. Oggi, a meno che la via abbia una storia molto nota e particolare, si riporta una via solo per il grado. Dico questo lontano da ogni morale: è solo un modo diverso e non per questo peggiore di vivere l’arrampicata.

Asja: Forse non è stata passata questa sensibilità alle nuove generazioni.

Cambiamo discorso. Parliamo di Olimpiadi? 

Asja: È un momento difficile. I posti sono pochi e non sono ben chiari i criteri di scelta. Siamo in tanti… discorso difficile… 

Sarebbe bello; ecco.

Grazie Asja. Io avrei anche finito. In fin dei conti è una breve intervista da social e abbiamo già sforato …

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Asja: No é che mi fai pensare… e forse, chi fa le gare non ci pensa nemmeno più che la via verrà smontata. È un automatismo. Personalmente, cerco di passare qualsiasi passaggio mi viene proposto… Però a volte arrivo alle gare e penso solo a godermi la via; altre volte non ci penso e sono più fredda.

Vabbè, allora “overtime”! e tuffiamoci in questo ragionamento: quello che prima volevo dirti, nasce dall’idea che esiste un sapere del corpo a noi inconscio. A volte penso che l’atleta è incosciente di avere un corpo cosciente. Quando entra in “modalità gara” si rende conscio di avere un colpo solo. È un arrampicare che porta a conoscersi nel mentre si arrampica senza alcuna possibilità di seconde possibilità. È un sentire intuitivo, prima ancora che razionale, quello che ti porta a divenire un tutt’uno con il tuo gesto. Un sapere che si manifesta nel fare, un coincidere assoluto con il tutto. Evento fondamentale per conoscersi.

La “via” non si nasconde mai dietro un valore esterno, nel nome, nel valore sociale di un tiro. In competizione, arrampicando si diventa l’essenza dell’arrampicata stessa. Forse ancora più che nell’”on-sight” su roccia. I gesti compiuti scompaiono nel momento in cui sono fatti e non c’è possibilità di replica. La via sparirà e con essa ogni possibilità, ogni se, ogni ma… non si può tornare a terra e riprovare.

 Non c’è la possibilità di fare come in falesia dove ci si confronta con un dio muto che sorride solo se moschetti al catena. Questo fa si che oltre alla positiva competizione, ci sia reale solidarietà tra gli atleti, che si confrontano con un sorriso “tra pari” e si confrontano sul: “come hai fatto a passare”… che tanto… io, tu, nessuno di noi potrà riprovare.

Asja: È un aspetto interessante, e  forse, per risponderti, dovrei affrontare l’altro lato della arrampicata, ovvero il superlavorato. Ma forse i nostri valori, oggi, sono altri… non sono più quelli a cui ti riferisci e che, magari, sono diventati negativi.

Hai ragione e probabilmente il mio è un delirio che nasce dalla ormai scarsa conoscenza dell’attuale “mondo gare”.

Torniamo “leggeri” va… il tuo ricordo più bello su roccia?

Asja: Ci vado poco, solo per allenamento… ho fatto qualche 8b, ma in questo momento ho fatto la scelta di dedicarmi alle gare e penso che le due cose vadano tenute separate. Se inizio a tenere il piede in due scarpe, forte di un buon livello ma non esagerato, come il mio, rischio di disperdermi troppo.  Non credo di potermi permettere di fare roccia e resina. Certo, l’outdoor mi appassiona e sarà un’attività che sceglierò appena smetto con le gare.

Non è solo la mia idea, ma qualcuno che “conta molto” nella nazionale italiana, lamenta proprio questo: poca roccia sotto le dita degli atleti…

Sono consapevole che fare un pochino di roccia possa aiutare ma credo sia meglio seguire il programma del mio allenatore Fabrizio Droetto: il mio preparatore. Ho lavorato molto sul gesto, sulla mobilità, sulla dinamicità… e ho scalato tanto. Tanta preparazione a secco ma altrettanta scalata.

I risultati si sono visti. Sopratutto nel boulder sono molto migliorata perché ho deciso di cercare di adattarmi alle nuove tracciature.

La coppa del mondo è molto più intensa della coppa Italia?

 Asja: In coppa del mondo non si può sbagliare. Sempre in forza del mio livello, devo dare il massimo perché basta poco per scivolare di tante posizioni.

Il tuo punto forte?

Asja: Mi chiedi queste cose… che per la mia insicurezza potrei starci ore a pensare senza arrivare a una risposta… ma… intendi la scalata o in generale.

Intendo dove ti dà da fastidio rispondere…..

Forse questa gestione delle tue incertezze è il tuo punto forte.

Lasci intendere che non non hai punti forti, io dico che sei forte nel tuo sapere di non avere punti forti.

Asja: Magari ce ne sono anche altri di punti forti ma quello di cui sono sicura é che sono sempre pronta a fare tanta fatica sia a livello mentale che fisico. Forse è per questo che sono fredda. Perché quello è il punto fermo da cui parto.

Tu compri riviste d’arrampicata?

Asja: A dire il vero poco, sono molto impegnata sui testi…

L’ultimo libro letto?

Asja: L’ultimo libro che ho letto è stato “Dove nasce il vento” di Nicola Attadio. È la storia di Nellie Bly, la prima reporter americana. È un libro che mi è piaciuto tanto. Racconta di una donna che ha sempre cercato la libertà e la giustizia che sembra mancare ancora oggi… anche nello sport.

e allora, anche se dovevamo parlare di appigli, finisco con il consigliarti un libro di Giuseppe Catozzella: “Non dirmi che hai paura”… perché ho l’impressione che “ti tieni parecchio” non solo sulle dita… che hai tanto motore anche per parlare di libri

Asja: Forse sono troppo celebrale e a volte faccio fatica a trovarmi a mio agio… mi chiedo spesso se sia un buon segno.

Che dirti: quando tutti ti danno sempre ragione probabilmente c’è qualcosa che non va.

Magari con il tempo cambierai…

Parli spesso di scelta e della necessità di saper operare all’ombra di questa incertezza.

Alla fine la tua vera forza è proprio questa tua certezza di saper dubitare dei tuoi “piu” e dei tuoi “meno”.

P.S.

Son tornato su questa intervista dopo mesi, come faccio spesso. Mi rimane un pensiero che scrivo qui, a firma di questo incontro telefonico:

Cara Asja, è nel saper vivere questi momenti di esitazione che vengono a galla le fondamenta della nostra soggettività. È conoscersi, ed è il compito più difficile che ci è dato di fare.

È difficile sai… ma saper esitare rende forti.

Andrea Tosi

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 Un diverso punto di vista su Asja è stato raccolto da Matteo Barbero (direttore della rivista “Spit”).

Intervista pubblicata sul numero 10 della rivista (2 Gennaio 2019).

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