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Il curioso caso del detenuto 737 – Capitolo 1

da | Set 27, 2021 | storie | 0 commenti

 

Capitolo 1 – Appesi, che sia legno, o che sia filo

 

Tra una pausa e l’altra, tra le varie serie di esercizi che mi imponevo, sulla mano sinistra non mancava l’unica rivista di arrampicata che arrivava, a quei tempi, nel piccolo borgo: ÉCOLE VERTICAL.

Vi leggevo di incredibili salite sportive, della perfezione fisica di chi le compiva. Credevo di capire i loro pensieri che, a quel tempo, pensavo vicino ai miei.

Non potevo fermarmi, i racconti di Wolfgang Güllich, le sue salite… le descrizioni di percorsi, così impegnativi dove i pochi ancoraggi con la roccia erano necessariamente le prime falangi delle dita, erano per me pura vertigine e incredibile esaltazione.

A ogni esercizio sul tappetino, a ogni seduta di panca piana, dovevo dare il massimo. Mi sognavo, un giorno, anch’io sotto quelle pareti, armato di un grande braccio e di una insaziabile fame di gesto, di forza ed elasticità, insomma, colmo di tutte le caratteristiche del “Grimpè[1]”.

Al termine degli estenuanti allenamenti, circa alle ore 22.30, mi dirigevo alla doccia della palestra. Una sciacquata veloce prima di dirigermi verso casa, mangiando, di norma, un panino preparato la sera prima per risparmiar tempo. Tornato a casa, lavoravo di cesello per togliere il superfluo. Tutto uno studiare a tavolino, tramite grafici e articoli, nuovi esercizi, nuove routine… dovevo farmi trovar pronto da quel giorno – e son sicuro sarebbe arrivato – che mi avrebbe visto partire in direzione di quelle pareti.

Eccola qui, caro mio… questa era, in maniera molto sintetizzata e giocosa, la mia piccola avventura giornaliera, la coltivazione continua di sogni, speranze, e perché no, quella strana e banale voglia di emergere, di riuscir a brillare, anche pochi istanti, convinto che queste avventure, cullate tra le pareti, la fabbrica e la palestra, fossero in realtà solo una piccola fase di passaggio, dei brevi attimi di una lunga vita, che in futuro mi avrebbe portato tra quelle pagine che tanto amavo leggere.

Beh, sì, forse qualcosa, alla fine, o per un dirottamento esterno, o forse per miei errori, è andato a sventrare anni di sogni e aspettative.

Però, non penso sia giusto annoiarti, caro lettore che tanto ti stai impegnando a decifrare queste righe, con i pietosi classici racconti farciti di sogni infranti e dita doloranti.

Proverò, per tua grazia, a riassumere in poche parti principali, ciò che mi ha portato a questa situazione, ora che son chiuso – fuori o dentro, lo deciderai tu – da una inferriata che mi separa, o forse mi riporta, su delle pagine non necessariamente patinate.

Sai, avevo appena finito una serie agli anelli, quando, sfinito dalla mattinata che mi aveva impegnato su dei passaggi difficili, e dal lavoro pomeridiano, dove la produzione non cessava mai il suo frenetico e monotono ritmo, decisi di allungare un po’ di più le pause.

In quel momento, lessi un articolo di un grandissimo arrampicatore dell’epoca e del suo incredibile marchingegno, per il miglioramento della forza, mirato sulla punta delle dita. In una piccola trave di legno, dal modesto spessore, aveva attaccato dei listelli di varie dimensioni e misure. Il tutto finalizzato al perfezionamento delle capacità sportive in arrampicata.

Ne fui incantato.
Così piccolo, così essenziale, eppure, a detta sua, estremamente efficace.

Immediatamente pensai che, se fossi riuscito a produrmene una copia identica, avrei potuto anche cessare l’abbonamento in palestra, e da qui, pura e semplice matematica che descrive un circolo virtuoso: più allenamenti intensi, più risparmio di denaro, più vicina la possibilità̀ di evadere da questo borgo e mettermi alla prova su quelle arrampicate così estreme.

Così pensai, e così feci.

Ritirai l’abbonamento dalla palestra la sera stessa, corsi a casa e cominciai a intagliare, con una vecchia sega circolare, una serie di listelli, da grandi a piccoli, da più stondati ai più aggressivi.

La sera seguente lo testai immediatamente. Mi aggrappai.

Seguivo una piccola serie di esercizi che la penna dell’articolo consigliava. Il tutto mi pareva incredibilmente semplice, essenziale.

Ed era proprio questa semplicità̀ a render quell’ambiente così vivo.

I miglioramenti, ragazzi, incredibile, non tardarono minimamente ad arrivare.

Passaggi che fino ad allora mi avevano respinto, si facevano risolvere con grande agilità̀. Saltavo di sasso in sasso con una gestualità̀ mai sentita prima, un controllo totale del mio corpo, delle sue azioni e dei suoi movimenti.

Ecco esattamente quello che cercavo. Un nuovo modo di dialogare. Non con me stesso, ma con le mie mani e con le mie spalle. Tornar bambini e riscoprire nuovi schemi motori, portarli dall’orizzontale alla verticale.

Piano piano, dopo anni e anni di allenamenti, fabbrica e fughe mattutine, i passaggi cominciarono a terminare. Quei movimenti, un tempo estremi, erano ormai stati domati.

Rimasi solo.

Quel piccolo vortice che continuamente scorre all’interno della pancia, sembrava, per qualche attimo, aver cambiato direzione, o addirittura, a furia di rallentare, sembrava essersi fermato.

Qualcosa stava cambiando, il rifugio intorno a me sembrava stesse per cedere, ma io, cari amici miei, non avevo alcuna intenzione di cedere con esso.


[1] Modo di dire locale per alludere all’arrampicatore; dal francese: grimpeur.

Continua il 04/10/2021 su : https://www.wildclimb.it/2021/10/04/il-curioso-caso-…o-737-capitolo-2/ –––>

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