
Roberto Franzoni
Prosegue il viaggio di WildClimb nel mondo degli “Allenatori”. Sempre sulla scia del “Campionato Italiano Giovanile 2022” lead, boulder e speed, andato in scena a metà Luglio sul palcoscenico di Arco di Trento, abbiamo incontrato Roberto Franzoni, figura storica del veronese dal recente passato “agonistico”. Roberto è oggi un punto di riferimento per i giovani atleti che crescono sotto il suo occhio attento di “Allenatore”.
WildClimb ha proposto sette domande anche a lui, sette domande generali che partendo dallo “storico” di ogni allenatore, arrivano all’aspetto politico e al ruolo che dovrebbe ricoprire un’azienda per supportare al meglio questo settore sportivo.
La parola passa quindi a Roberto Franzoni, allenatore dell’ “ASD King Rock Climbing” di Verona.
Ciao Roberto, come e perché si finisce per diventare allenatori.
Sul perché si finisce per diventare allenatori, la risposta è abbastanza semplice: per quanto mi riguarda sono mosso da una passione molto forte (che sconfina, a volte, nella dipendenza). Nel senso che trovo piacere, soddisfazione, gratificazione e mi appaga istruire giovani ,e non giovani, in uno sport che ho praticato per moltissimo tempo. Sono un ex atleta, mosso da una semplice ma enorme passione. Sul come ci si diventa, allenatori, il percorso è un po’ più difficile, perché serve una struttura o, meglio ancora, più strutture sulle quali appoggiarsi per mettere in pratica protocolli e dinamiche studiate e pianificate che spaziano dalla preparazione generale alla preparazione specifica e mentale.
Ci si mette in gioco per insegnare ai giovani… quanto conta l’esperienza personale pregressa e quanto conta il reinvestimento sulle nuove teorie che non avete avuto modo di sperimentare personalmente su voi stessi.
L’esperienza personale, se la si ha, è importante ma non è poi così fondamentale, o non più di tanto. Perché l’arrampicata ha avuto un’evoluzione negli ultimi anni incredibile. Per capirci, l’arrampicata indoor ha preso una strada tutta sua su un binario parallelo all’arrampicata outdoor. Si può dire che entrambe si possono interfacciare ma l’indoor vive oramai di vita propria. Lo sviluppo di questo nuovo mondo lo si vede nei nuovi materiali che hanno rivoluzionato le tracciature, oggi, completamente differenti dagli anni novanta. La prima conseguenza è stata la trasformazione dell’arrampicatore che da magro e visivamente quasi malato (perché magrissimo) è passato ad essere un atleta ben proporzionato in tutte le sue parti. Evoluzione inevitabile per poter essere performante nella gestione dei nuovi tracciati che richiedono forza di dita, ma anche molta atleticità (non solo specifica).

Atleti dell’ASD King Rock Climbing

Giovanni Albrigi
Parlaci della tua realtà, del tuo gruppo e del contesto nel quale vi inserite.
La realtà dove è inserito il gruppo agonistico King Rock Climbing è una situazione spiccatamente commerciale. Un occhio di riguardo è sempre riservato al cliente e questo rende un po’ più difficile la costruzione di atleti agonisti. Nonostante questo si riesce a far crescere ragazzi che possono essere competitivi e performanti. In ogni caso, qualsiasi allenatore non può pensare di allenare il proprio atleta unicamente nella propria palestra per cui deve tener conto di girare altre realtà che possono stimolare l’atleta con tipologie di tracciature diverse, profili, ambienti completamente differenti dal proprio, per cambiare stimolo e rendere il bagaglio motorio dell’atleta più ampio. Io personalmente porto i miei atleti in strutture come Crazy Center, RockSpot, Vertikale, Big Walls… Come falesie nel veronese c’è l’imbarazzo della scelta: dalla placca al forte strapiombo, invernali o estive, ecc. Una falesia comoda per i principianti U10-12 può essere, qui, nel veronese, quella di Stallavena, dove si fanno anche tanti corsi outdoor, mentre per l’alta difficoltà e per gli atleti più esperti abbiamo Ceredo, una delle falesie più conosciute d’Italia.
Attualmente, o nel vostro immediato passato: hai qualche nome da indicare per il futuro?
In undici anni come allenatore ho visto e conosciuto tanti ragazzi e ragazze. Alcuni hanno smesso per lo studio, altri hanno voluto provare altri sport. Qualcuno, invece, ha proseguito, e sono tuttora con me. Tra di loro c’è anche chi ha scelto la facoltà di scienze motorie. Diciamo che, in generale, se qualcuno ha mollato la via agonistica, dopo, è sempre ritornato a livello amatoriale.

Olga Cabilli

Seduta “speed” in corso
Che impatto ha sul mondo dell’arrampicata l’effetto delle palestre o delle scuole come la tua? Alludo al mondo dei gruppi sportivi che prima o poi si riversa nelle falesie outdoor
La prima evidenza è che si è decisamente alzato il livello, perché iniziando in età giovanile, come accade in ginnastica artistica, a 15 anni si può essere fisicamente già preparati a 360° per l’arrampicata sportiva. Ci si trova in falesia con dei ragazzi che in pochi giri riescono a chiudere itinerari difficilissimi. Detto questo, una cosa da tener conto e non sottovalutare, è questione “sicurezza”. Questi giovani atleti, non sanno valutare la pericolosità di falesie obsolete dal punto di vista chiodatura, avvicinamenti, manovre di corda, ecc.. Ma questo è un argomento che lascio ad altri.
Se per magia ti trovassi seduto in una commissione parlamentare con il compito di rinnovare le leggi che oggi regolano il mondo “arrampicata”… in quale direzione andresti? quali figure a tuo modo di vedere mancano nel panorama italiano.
In questo momento storico dove l’arrampicata sportiva ha avuto un’evoluzione così tanto ampia e importante, sotto tutti i punti di vista (atletico, mentale, business economico, materiali per le tracciature, ecc…) l’Italia è ferma a 40 anni fa, Se fossi nella stanza dei bottoni penserei a una soluzione in grado di creare un bacino di giovani ragazzi che intendono fare di questo sport un lavoro. Immagino una figura: il mitico “maestro d’arrampicata”). Un professionista che si occupi di portare questi giovani atleti in falesia garantendo una “continuità” di crescita. Aspetto, questo, molto importante per gli agonisti, perché stiamo parlando di agonismo. Si alzerebbe più velocemente il livello tecnico, la sensibilità, la propriocezione, la visualizzazione, la resistenza… Pur continuando a ritenere che oramai siano due sport diversi, indoor e outdoor rimangono complementari. Sapere cos’è l’agonismo e conoscere i ragazzi – il loro percorso “atletico” – che si portano in falesia è fondamentale. I siti d’arrampicata sarebbero anche più “curati” e “controllati” con un occhio così vigile in falesia… e questo potrebbe avere risvolti positivi per tutti gli arrampicatori. Se non si arriva a una figura di questo tipo, le varie ASD non potranno mai veramente crescere con continuità atleti come accade in Francia, Austria, Slovenia, Germania… In Italia, al momento, troppo è lasciato in mano alla buona volontà dei genitori, alla loro possibilità di assumersi la responsabilità dei ragazzi in falesia.
Infine, che ruolo e cosa può fare un’azienda del settore per supportare un gruppo sportivo senza essere invadente?
Un brand può sicuramente essere un punto di partenza. Direi fondamentale per un gruppo agonistico, basti pensare quanti soldi servono per portare in giro questi ragazzi e crear loro degli allenamenti su misura, perché dato che è uno sport dove all’atleta viene richiesta una prestazione individuale bisogna allenarlo anche a livello individuale per cui l’allenatore spende tantissimo tempo nella preparazione di tutto ciò, e questo ha un costo che nella maggior parte dei casi è lo sponsor che si accolla le spese in collaborazione con la famiglia dell’atleta.
Grazie Roberto!