Fa caldo. La nebbia si sta diradando o meglio sono io che mi sto alzando sopra la sua fumosa coltre. Un pallido sole. Un ciuffo d’azzurro. Tolgo il gilet e riparto. Qua non c’è nulla da pensare. La pista da risalire è sempre quella, la solita pista per le prime uscite pre nevicate invernali. Inizio a vedere un po’ le montagne attorno. Anche qua ormai lo sguardo passa su tanti giorni della mia vita. Non è come essere in Fassa, ma poco manca.
Quando non c’è nulla da pensare si pensa di più.
Il ritmo è lento. Non per la prima uscita o per la colazione errata. In fondo 2 ore e 40 minuti fa stavo guardando le web cam ed i radar al pc per trovare una collina attorno casa dove andar a sporcar di fango gli scarponi sotto l’acqua. Pioveva, come solo novembre ed aprile sanno fare. Poi, come sempre, ecco l’idea balzana. D’altronde non puoi fare alpinismo da tanti anni senza esser schiavo delle idee balzane. Ce ne è sempre una pronta a trasformare una domenica di relax in qualcosa di epico, o almeno di faticoso, ed i progetti futuri si sa, nascono sulle cime dei monti, prima di iniziare la discesa…
Web cam Nassfeld, vediamo la situazione a nord. Neve, piste bianche. E dietro… Un’alba serena a nord, si vedono i vari Nock…
ALT F4.
Spengo il pc vecchia maniera. Recupero qualche secondo e mezza ora dopo sono quasi a Prosecco. Bene: se lo stimolo c’è riesco ancora a fare le cose ad un ritmo normale e non da vecchio bradipo. Ho preso tutto, senza che sia preparato nulla, compreso l’arva con le pile nuove inserite a tempo di record.
Il ritmo è lento perché le braccia fanno male. Fanno male perché a tirare prese sugli strapiombi per mezza giornata ci si stanca, e non solo su braccia e dorsali. Ti sfinisce completamente. Il senso esatto di andare oltre i propri limiti fisici restando ben lontano dai limiti mentali. Non è arrampicare, o forse si. Sicuramente è un gran allenamento.
Presa gialla, presa nera, presa viola… il festival del colore fra strapiombi e sudore.
Presa gialla presa nera o forse solamente presa, tira e spera… spera di tenere, di passare il rinvio; spera che torni il sole e si possa andare su pareti dove da metà via non vedi la fine e neppure l’inizio… dove il viaggio da un senso alla vita.
Week end di pioggia. Una volta era Misja… erano canne e tacche sotto strapiombi. Ora quel posto è diventato duro, pieno di bambini sloveni che passeggiano dappertutto. Per fortuna hanno inventato l’artificiale, e non serve patire freddo o caldo su Goba. Climbing indoor. Prese colorate. Soliti amici, solite battute. Risate e acido lattico.
Rinvii fissi in posizione e soprattutto, per la gioia di grandi e piccini, rinvii stra vicini.
Avanti fino a scoppiare. Il biglietto costa e la benzina anche. Non si spreca un minuto. Sarebbe da aprire una parentesi sul costo della birra, ma dovrei lasciare la parola ad Emi, malo pivo veliko pivo, e quindi tiro avanti destreggiandomi fra i miei doms.
Bel gioco questo qua. La forza di gravità si fa sentire ma le prese sono grandi, sono uncinabili ed evidenti. Strapiombi a prova di scarso. Riconoscere i colori e tenere. Il gioco all’85% è fatto. Intelligenza motoria ridotta al minimo, qualche lolotte, qualche laterale, poco altro, tirar su i piedi e strenzer. Ingaggio zero. Soddisfazione alle stelle.
I bastoncini da sci pesano sul muretto finale di neve gelata. Un mesetto fa, nemmeno, sono passato di qua in automobile mentre i ragazzi degli impianti montavano le seggiovie. Fine stagione, niente divieti e la figata di fare qualcosa che normalmente è proibito.
Ora tutto è quasi pronto per l’inizio del circo bianco.
Sono quasi solo sulla dorsale, con la Creta d’Aip di fronte ricoperta di zucchero impalpabile. Fra poco bloccherò gli attacchi e quella che, senza tema di poter esser smentita, è l’attività più gratificante inventata dall’essere umano ritornerà a fluire nei miei neuroni. Dopo troppi giorni di latitanza.
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Presa gialla, presa nera… noi preferiamo le arancione, caso mai le fuxia. Si vedono meglio, sono mediamente più grandi e solitamente non riservano passi boulder a sorpresa. Ma noi, si sa, siamo la retrovia degli scarsi e siamo quasi estinti come i grandi e pesanti dinosauri. Però a volte siamo i criceti della montagna. Quando non si può andare ad esplorare distruggiamo il fisico sotto gli strapiombi o sulle risalite con le pelli. Su e zo, up and down a metter metri su metri. Anche la quantità ha il suo perché. L’età rugna e mette i bastoni fra le ruote ma nessuno la bada.
Decimo tiro giornaliero, siamo quasi agli sgoccioli. I gradi son sempre un qualcosa di incomprensibile in questo sport. Indoor l’incomprensione è cronica e rasenta la parodia. Dipende da chi traccia. Dipende da come si moschetta e quanto sei alto. Solo raramente dipende da quanto ti tieni. E così capita che lo stesso grado ti fa salire facile sulla viola e ti bastona sulla nera.
Tocca al Gerri. Sceglie una blu. Continuità e boulder alla fine dello strapiombo. Poi placca lunga. Non ce la posso fare. Si ferma pure lui…
Tolgo la maglietta. Fa un caldo umido assurdo qua dentro. La maglietta di cotone è un piumino d’alta quota per il mio metabolismo. Eppure vedo ragazzi giovani arrampicare con le braghe invernali che manco a far sci alpinismo con meno 10 riuscirei ad usare. Andranno mai in Lavaredo? Io sono in braghe corte con le mulze al vento. Forse non è la tenuta migliore per attirare lo sguardo delle ragazze slovene; devo studiare qualcosa per migliorare il mio marketing… anche se, più che PCL sembra di esser in Napo. Pochi, pochissimi sloveni, forse merito, o colpa, delle nostre scelte orarie che ci fanno trovare la palestra semi vuota in giornate di grandissimo afflusso. E tanti, sicuramente troppi triestini, che soprattutto sul tardi arrivano ad intasare le vie. Ve beh noi a quel punto siamo pronti ad andare però fa da pensare che non si trovi nessuno per arrampicare pochi km più ad est su un calcare che forse solo al Naranjo è migliore, seppure con pareti sicuramente poco appariscenti, e poi tutti si accalcano su 4 prese colorate. I grandi misteri dei climbers. Resta il fatto che la mitica gnocca slovena rampicante deve aver trovato altri lidi per le uscite dei week end di pioggia. Mistero da svelare.
Attacco deciso. Anni di paure in falesia mi hanno insegnato come rubare. Moschetto il primo passo duro dal basso, sprecando forze ma guadagnando in morale. Così passo l’incrocio come esser sulle Concave e mi gaso. Faccio tutta la sequenza strapiombante ma, come si dice tutto quello che sta prima di un ma non conta (cit), non mi schiodo dalla penultima presa. Benzina finita. Resting improrogabile e multiplo. Riparto per schiantarmi subito sopra sulla placca. Il passo duro era qua. Poco da fare. Bisogna allenarsi di più e dimagrire. Passo la corda in catena. Dovrebbe essere l’ultima. Neppure una via facile in mezzo oggi. E son viaggetti da 15/20 metri al colpo, tutti aggettanti.
Scendo ma la voglia di scalare non è finita. Ed il morale ha bisogno di chiudere la serie con qualcosa su cui vado su senza fermarmi. Così, con la meschina scusa del defaticamento, vado diritto senza riposare sulla viola vicino alla finestra. È un grado teorico al limite ma la conosco e so che è di movimento, intelligenza motoria, impostazione niente ciapa e tira, nessuna sorpresa, soddisfazione quasi sicura. Insomma barare. Dopo le rogne della blu su di qua vado di corsa. Undicesima catena. Saranno quasi 200 metri di strapiombo continuo. Sento le spalle e i dorsali gigantemente pesanti. Meglio chiudere ora prima di rompere qualcosa. Domani è un altro giorno e bisogna fare dislivello.
Domani è oggi.
Chiudo gli scarponi e blocco gli attacchi degli sci. La neve è gelata ed a tratti ghiacciata, gli sci sono vecchi, leggeri e con le lame tonde. La visibilità è scarsa. Il sole ha lasciato il posto ad uno spesso strato di nubi. Però so che non ci sono ostacoli e sono mesi che aspetto questo momento. E poi “non devi pensare, devi sentire” (cit).
Lascio andar gli sci sulla dorsale, abbozzo qualche curva solo per riprendere fluidità coi movimenti ed arrivo al muretto.
Inizio a danzare.
La danza della vita.
Massimo Esposito
27 novembre 2018